L'ascesa del fascismo nel modenese in una ricerca di Fabio Montella
Giovedi 7 dicembre a Carpi verrà presentata per la prima volta una indagine dello storico mirandolese sull'avvento del Fascio nel modenese
Furono più di 1.300 gli squadristi modenesi che con le loro azioni violente – caratterizzate da spedizioni a colpi di arma da fuoco, coltello, bastone e olio di ricino – favorirono, anche in provincia di Modena, l’ascesa impetuosa del fascismo.
L'ascesa del fascismo nel modenese
CARPI - A questo fenomeno e alla violenza politica è dedicato Gli squadristi di Modena (1919-1923), nuovo volume di Edizioni Artestampa, (€ 24) che sarà presentato in anteprima a Modena giovedì 7 dicembre alle ore 18,45 presso la libreria LA FENICE di via Mazzini, 15 a Carpi.
I protagonisti dello squadrismo
Autore è Fabio Montella, ricercatore indipendente, autore del recente "Bagliori d’incendio" realizzato dall’Istituto storico di Modena. E proprio in continuità con Bagliori d’incendio si pone questo nuovo libro, che compie un affondo inedito sulla figura dei protagonisti dello squadrismo, sulle pratiche da loro attuate per annientare gli avversari ed anche sulla rappresentazione della violenza, con un nuovo apparato di immagini e con elenchi, Comune per Comune, di coloro che nel 1939 (in occasione del ventennale della fondazione, a Milano, dei fasci di combattimento) poterono fregiarsi, anche a Modena, del “brevetto” di squadrista.
Un migliaio di episodi
A tutto questo si aggiunge un’ampia cronologia inedita, con la descrizione di un migliaio di episodi di violenza che segnarono la vita di questa provincia, provocando distruzioni e incendi di sedi operaie e sindacali, il ferimento di centinaia di oppositori e la morte di esponenti delle sinistre, del Partito Popolare ed anche di cittadini non implicati nelle contese politiche. Vittime della violenza scatenata in quegli anni furono anche 19 caduti tra i fascisti (8 dei quali uccisi il 26 settembre 1921 nella strage di via Emilia, a Modena), oltre a 4 mutilati e 12 feriti.
Giorno per giorno
Il volume di Montella ripercorre, giorno per giorno, le tappe della violenza che insanguinò Modena per cinque anni (soprattutto nel biennio 1921-1922); una violenza inaudita, che fu scandita e accompagnata da canti, miti, riti e simboli tratti dalle trincee della Grande Guerra e dagli arditi: dai teschi con tibie incrociate alle giubbe, dalle fasce mollettiere alle cravatte nere, dal fez al pugnale.
Inserendosi nel solco di una nuova riflessione storiografica sulle origini del fascismo e grazie all’analisi di una vasta mole di documenti, il libro di Artestampa tratta di uno degli snodi cruciali della storia italiana, visto dal punto di vista modenese. Chi furono gli squadristi? Come e con quali mezzi riuscirono a conquistare il potere? Quale fu la mentalità alla base del loro agire? Perché non furono fermati? «La resa dello Stato di fronte all’ascesa di un movimento tutto sommato contenuto come il fascismo – spiega Montella – fu evidente anche a Modena. A questo si aggiunga che la violenza aumentò in modo esponenziale, dilagando impunita. Fu una violenza imitativa, senza freni inibitori, grazie anche all’uso di alcol e droga. Gli squadristi non avevano remore, colpendo uomini, donne e persino bambini. Fu un fenomeno che si autoalimentò, nella sottovalutazione generale».
Non depose le armi
Lo squadrismo peraltro non depose le armi dopo la Marcia su Roma dell’ottobre del 1922, con la conquista del potere da parte di Mussolini, e dopo avere spazzato via ogni voce dissenziente coi suoi metodi violenti e intimidatori, ma continuò per molto tempo a regolare i conti con gli avversari politici a colpi di rivoltella, moschetto, manganello, bombe, incendi e olio di ricino.
Proseguì a lungo
«Il lato più oscuro del fascismo – prosegue Montella – fu tale ben prima del delitto Matteotti e delle “leggi fascistissime” e proseguì a lungo. Il movimento di Mussolini fu caratterizzato dalla violenza e dalla sopraffazione fin dal suo nascere, ma negli anni della dittatura si cercò di mettere in secondo piano questi aspetti che in parte erano divenuti imbarazzanti. Non a caso anche a Modena alcuni dei protagonisti delle violenze di quegli anni furono emarginati durante il Ventennio, salvo poi essere ripescati nel periodo della Repubblica Sociale, quando ci fu bisogno nuovamente dei loro metodi e della loro mancanza totale di remore e limiti».
La ricerca è stata resa possibile dall’analisi di migliaia di documenti, in buona parte conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, «il cui personale – conclude Montella – ringrazio per la disponibilità e la professionalità dimostrate».