Don Giorgio Govoni: la replica della Diocesi dopo le accuse di "Voci Vere"
Anche la sentenza della Corte d'Appello di Bologna depositata il 6 giugno 2006 conferma la carenza di prove
Sono trascorsi oltre 23 anni ma la vicenda di Don Giorgio Govoni, ucciso da un infarto nello studio del suo avvocato dove gli era appena stata data la notizia del rinvio a giudizio, torna a far parlare di sé.
Don Giorgio Govoni: dopo le accuse di "VociVere" la replica della Diocesi
MODENA - Come è noto il parroco di San Felice sul Panaro era stato accusato alcuni mesi prima di essere il capo di una presunta banda di pedofili satanisti . La recente ricorrenza della morte di Govoni ha portato l'Associazione “Voci Vere” a criticare nuovamente la posizione e gli interventi del vescovo di Modena e Abate di Nonantola don Erio Castellucci.
L'intervento del Vescovo
In una lunga nota a nome della Arcidiocesi (e non della Curia) viene specificato, Don Erio Castellucci scrive alla attenzione del Presidente ing. Bindi ricordando che: “Le chiedo di dirmi quando avrei rifiutato di incontrare le vittime”, come da Lei dichiarato. Preciso che tale eventuale incontro non sarebbe stato comunque rilevante in ordine alla ricerca affidata ai suddetti legali, perché questa ha ripercorso unicamente gli atti processuali, specialmente le sentenze, per precisare ciò che si poteva dire o meno del ruolo svolto da don Giorgio, a fronte di molte supposizioni.
Lei, tra l’altro, rilancia opinioni già riportate nel sito di “Voci Vere”, tese a screditarlo come sacerdote e parroco, mentre coloro che lo hanno conosciuto come pastore smentiscono concordemente queste voci, dando buona testimonianza di lui e della sua opera ancora oggi. Lascio poi da parte il processo alle mie intenzioni, da Lei frettolosamente intentato, quando immagina che io abbia assunto “il teorema di Veleno” e che “la Chiesa” (questo è detto con più chiarezza nel Comunicato stampa di “Voci Vere” del 5 giugno, benché si continui ad usare l’improprio soggetto “la Curia”) esprima con questa sua Nota una “innegabile solidarietà” a “coloro che furono condannati per reati gravissimi e un totale disinteresse per le vittime”. Si tratta di una dichiarazione irricevibile, al limite della diffamazione.
Lei evidentemente non sa quanto e cosa stiamo facendo come Chiesa per le vittime – tutte le vittime, non solo quelle di reati perpetrati in ambienti ecclesiali o che coinvolgono ministri e operatori pastorali – e quindi La invito a moderare i toni e i giudizi" conclude il vescovo.
Gli otto punti della Corte di Appello sono chiari
Infine il vescovo nella sua nota riporta gli otto punti che sono stati resi noti dalla Corte di Appello di Bologna sulla vicenda:
1) non sono stati individuati i luoghi esatti ove tali riti avrebbero trovato compimento “a causa delle stesse indicazioni spesso generiche dei minori” (pag. 111);
2) non sono state rinvenute tracce ematiche o di sommovimento della terra cimiteriale o di spostamento di lapidi (pag. 112);
3) nessuna testimonianza è stata assunta a suffragio anche indiziario dell’esistenza di questi riti asseritamente avvenuti “peraltro in più cimiteri e ad opera di più persone, in paesi, oltretutto, di poche migliaia di abitanti” (pag. 112);
4) è ineludibile l’inverosimiglianza delle modalità dei racconti con riferimento a detti rituali (pagg. 113 - 116);
5) non hanno trovato alcun riscontro le uccisioni riferite dai diversi minori, vuoi in relazione ai numerosi bambini sacrificati, vuoi con riguardo ad un uomo che sarebbe stato colpevole di essere stato troppo curioso per quanto accadeva nel cimitero cittadino. Nessuna denuncia di persona scomparsa è stata inoltre mai presentata in quel periodo, né di adulti, né tantomeno di minori (pagg. 116 - 117);
6) nessun valido e convincente indizio ha consentito di porre in collegamento il gruppo dei c.d. “finalesi” e quelli di Mirandola (pagg. 117 - 118);
7) non vi è riscontro incrociato tra le dichiarazioni dei minori circa la presenza degli stessi (pagg. 118 - 120);
8) nessun seguito giudiziario hanno avuto le dichiarazioni dei bambini circa gli omicidi asseritamente da loro commessi insieme agli adulti (pag. 120)."
Il caso don Govoni
Secondo l'accusa Don Giorgio Govoni faceva parte di una presunta setta che, tra il 1997 e il 1998, nei due paesi di Mirandola e Massa Finalese (frazione di Finale Emilia), avrebbe organizzato riti satanici nei quali sarebbero stati molestati e assassinati bambini.
Dalla denuncia di uno dei bambini, seguì una vasta indagine e l'allontanamento definitivo di sedici bambini dalle proprie famiglie; la verità processuale stabilì che non ci furono riti satanici né tanto meno che vennero commessi omicidi e venne inoltre ipotizzato che le tecniche di interrogatorio dei bambini avessero portato a far credere a questi falsi ricordi.